Rossella ha 28 anni ed è originaria di Verona. Tre anni fa, fresca di laurea in Ingegneria Civile, si è trasferita in Irlanda.
Fin dall’inizio ha notato grandi differenze in ambito lavorativo e nella mentalità delle persone. Più rispetto, gentilezza e collaborazione tra colleghi, ma soprattutto fiducia e responsabilizzazione dei dipendenti, fattori che l’hanno spinta all’inizio del 2020 a chiedere di poter lavorare da remoto da qualunque parte del mondo.
Seppur con qualche iniziale titubanza, la sua richiesta viene accolta, soprattutto dopo aver considerato che la presenza di Rossella in ufficio non era essenziale e che la sua produttività non ne avrebbe risentito. Inizia così la sua esperienza da nomade digitale alle Canarie, in una delle capitali europee scelta dai remote workers di tutto il mondo.
Dopo qualche mese, però, inizia a sentire nostalgia di casa. Decide, così, di rientrare. Il suo “south”, in questo caso, è il nord Italia, più precisamente un paesino della pianura veronese, caratterizzato da tranquillità e tanto verde.
Qui, ci racconta Rossella, il tempo sembra essersi fermato: la vita costa poco e i servizi essenziali ci sono. Ciò che le manca di più è la presenza di un coworking e di una comunità fisica di persone con cui confrontarsi e ricreare quella contaminazione culturale tipica delle università o delle grandi città.
Secondo Rossella i remote workers come lei hanno la responsabilità e il dovere morale di contribuire allo sviluppo e al benessere della comunità in cui decidono di vivere, e non solo, perché la nostra casa è in realtà il mondo intero.
Ecco perché negli ultimi mesi ha iniziato a supportare alcune no profit fondate da nomadi digitali che operano in paesi in via di sviluppo. Inoltre, in futuro, le piacerebbe collaborare anche con le realtà della zona che ha scelto per vivere, lavorare e costruire il suo futuro.